La sensazione che il Ruanda non rappresenti esattamente il prototipo della democrazia si avverte poche ore dopo essere sbarcati nel vecchio aeroporto internazionale di Kigali. Ma solo dopo alcune settimane, e qualche viaggio nelle campagne, ci si rende conto del malessere della popolazione e di quanto questa società sia in bilico tra un passato tragico e un presente incerto.
Lotta alla discirminazione. Le libertà fondamentali sono calpestate dal regime, nonostante i suoi impegni per tutelare i diritti umani e promuovere la riconciliazione post-genocidio. La nuova Costituzione approvata nel 2003 istituisce la Commissione Nazionale per i Diritti Umani e la Commissione Nazionale di Unità e Riconciliazione (Nurc), entrambe teoricamente indipendenti dal governo. La Nurc ha l’obiettivo di combattere il divisionismo e di promuovere l’unità tra i Ruandesi. Non si prefigge dunque lo scopo di far luce sul genocidio e la guerra civile. Ufficialmente il regime del presidente Paul Kagame si impegna su tutti i fronti per combattere la discriminazione ed il razzismo che condussero al genocidio.
Libertà violate. Viene però spontaneo chiedersi se la violazione della libertà d'espressione non produca in realtà l’effetto contrario, fomentando la rabbia, il rancore e la frustrazione della società civile. I Ruandesi sono poco propensi a criticare i loro dirigenti per timore delle rappresaglie: alcuni mi hanno raccontato, in via confidenziale, di amici e conoscenti spariti misteriosamente dopo aver osato opporsi al regime, e di processi orchestrati ad hoc per sbarazzarsi di persone scomode. Il caso più eclatante riguarda l’ex-presidente della repubblica Bizimungu, un Hutu moderato che collaborò con il Fronte Patriottico Ruandese. Nel 2001 decise di creare un partito d’opposizione, il Partito per la Democrazia ed il Rinnovamento, che venne ben presto sciolto e dichiarato illegale, seppure non si trattasse né di un gruppo armato né di un partito razzista. Bizimungu, accusato di voler formare una milizia e incitare alla violenza, sta scontando una condanna a 15 anni di carcere.
Nadine. Ho intervistato molti giovani: nessun rimprovero al governo su temi sensibili come la libertà di espressione e di stampa, al massimo un leggero malcontento sul diritto all'istruzione e la situazione economica. Nadine, una giovane partecipante a un seminario sulla risoluzione dei conflitti, mi parla del suo sogno di diventare giornalista e di cosa significhi per lei questo mestiere. Inevitabilmente cominciamo a parlare della situazione dei media e della libertà d'espressione. Lei sembra essere molto ottimista. In realtà, una volta spenta la telecamera e insistito con domande “imbarazzanti”, la sua paura emerge con chiarezza. “Tu potresti affermare pubblicamente che il governo di Paul Kagame non ti piace e che non sta contribuendo al benessere del Rwanda?”, le chiedo. “Non si possono dire queste cose” mi sussurra, segnalandomi di parlare a bassa voce.
Hutu e Tutsi. Promuovere la riconciliazione comporta il divieto di parlare di Tutsi e di Hutu, perché questo potrebbe alimentare nuove tensioni, secondo la logica ufficiale del governo dominato dai collaboratori Tutsi di Kagame. Andando al di là della retorica governativa, questo concetto si potrebbe parafrasare in “promuovere la pace e la sicurezza attraverso la repressione”. A questo scopo diverse leggi limitano la libertà di espressione e di associazione, per lottare contro l’ideologia genocidaria, la discriminazione e il divisionismo. L’orrore e la violenza, che hanno sconvolto il Ruanda anche prima del 1994, potrebbero giustificare una certa severità nelle leggi che disciplinano gli ambiti più sensibili. Esiste però una profonda differenza tra il discriminare ed il discutere, tra il criticare ed il diffamare. Il governo ruandese non sembra percepirla e sfrutta leggi ambigue per soffocare la società civile.
Oblio forzato. La persecuzione della Lega Ruandese per la Promozione dei Diritti Umani, accusata di divisionismo, lo dimostra. Un attivista dei diritti umani mi rivela che la Lega, i cui membri erano in maggioranza Hutu, infastidiva il governo perché troppo critica nei suoi confronti. Poi aggiunge che “é necessario comunque fare molta attenzione perché i revisionisti sono numerosi e minacciano seriamente la pace del paese”. L’oblio forzato delle identità serve forse a mascherare gli interessi del nuovo regime Tutsi? Fuori questione che questa domanda possa essere indirizzata pubblicamente al Presidente: le carceri rwandesi non devono essere particolarmente ospitali.
Lotta alla discirminazione. Le libertà fondamentali sono calpestate dal regime, nonostante i suoi impegni per tutelare i diritti umani e promuovere la riconciliazione post-genocidio. La nuova Costituzione approvata nel 2003 istituisce la Commissione Nazionale per i Diritti Umani e la Commissione Nazionale di Unità e Riconciliazione (Nurc), entrambe teoricamente indipendenti dal governo. La Nurc ha l’obiettivo di combattere il divisionismo e di promuovere l’unità tra i Ruandesi. Non si prefigge dunque lo scopo di far luce sul genocidio e la guerra civile. Ufficialmente il regime del presidente Paul Kagame si impegna su tutti i fronti per combattere la discriminazione ed il razzismo che condussero al genocidio.
Libertà violate. Viene però spontaneo chiedersi se la violazione della libertà d'espressione non produca in realtà l’effetto contrario, fomentando la rabbia, il rancore e la frustrazione della società civile. I Ruandesi sono poco propensi a criticare i loro dirigenti per timore delle rappresaglie: alcuni mi hanno raccontato, in via confidenziale, di amici e conoscenti spariti misteriosamente dopo aver osato opporsi al regime, e di processi orchestrati ad hoc per sbarazzarsi di persone scomode. Il caso più eclatante riguarda l’ex-presidente della repubblica Bizimungu, un Hutu moderato che collaborò con il Fronte Patriottico Ruandese. Nel 2001 decise di creare un partito d’opposizione, il Partito per la Democrazia ed il Rinnovamento, che venne ben presto sciolto e dichiarato illegale, seppure non si trattasse né di un gruppo armato né di un partito razzista. Bizimungu, accusato di voler formare una milizia e incitare alla violenza, sta scontando una condanna a 15 anni di carcere.
Nadine. Ho intervistato molti giovani: nessun rimprovero al governo su temi sensibili come la libertà di espressione e di stampa, al massimo un leggero malcontento sul diritto all'istruzione e la situazione economica. Nadine, una giovane partecipante a un seminario sulla risoluzione dei conflitti, mi parla del suo sogno di diventare giornalista e di cosa significhi per lei questo mestiere. Inevitabilmente cominciamo a parlare della situazione dei media e della libertà d'espressione. Lei sembra essere molto ottimista. In realtà, una volta spenta la telecamera e insistito con domande “imbarazzanti”, la sua paura emerge con chiarezza. “Tu potresti affermare pubblicamente che il governo di Paul Kagame non ti piace e che non sta contribuendo al benessere del Rwanda?”, le chiedo. “Non si possono dire queste cose” mi sussurra, segnalandomi di parlare a bassa voce.
Hutu e Tutsi. Promuovere la riconciliazione comporta il divieto di parlare di Tutsi e di Hutu, perché questo potrebbe alimentare nuove tensioni, secondo la logica ufficiale del governo dominato dai collaboratori Tutsi di Kagame. Andando al di là della retorica governativa, questo concetto si potrebbe parafrasare in “promuovere la pace e la sicurezza attraverso la repressione”. A questo scopo diverse leggi limitano la libertà di espressione e di associazione, per lottare contro l’ideologia genocidaria, la discriminazione e il divisionismo. L’orrore e la violenza, che hanno sconvolto il Ruanda anche prima del 1994, potrebbero giustificare una certa severità nelle leggi che disciplinano gli ambiti più sensibili. Esiste però una profonda differenza tra il discriminare ed il discutere, tra il criticare ed il diffamare. Il governo ruandese non sembra percepirla e sfrutta leggi ambigue per soffocare la società civile.
Oblio forzato. La persecuzione della Lega Ruandese per la Promozione dei Diritti Umani, accusata di divisionismo, lo dimostra. Un attivista dei diritti umani mi rivela che la Lega, i cui membri erano in maggioranza Hutu, infastidiva il governo perché troppo critica nei suoi confronti. Poi aggiunge che “é necessario comunque fare molta attenzione perché i revisionisti sono numerosi e minacciano seriamente la pace del paese”. L’oblio forzato delle identità serve forse a mascherare gli interessi del nuovo regime Tutsi? Fuori questione che questa domanda possa essere indirizzata pubblicamente al Presidente: le carceri rwandesi non devono essere particolarmente ospitali.
No comments:
Post a Comment